di Valentina Langellotti – Università del Salento
La prima volta che si visita Alberobello non si può non rimanere meravigliati dal fascino che questa cittadina infonde nel visitatore. Tralasciando per un attimo l’inesorabile passaggio del tempo che ha modificato visibilmente il vero spirito del paese, se ci si sofferma solo sulla forma semplice dei trulli, si può tornare indietro nel tempo fino alla preistoria. Le costruzioni sono eseguite secondo una tecnica tradizionale, molto diffusa nella valle d’Itria, che delinea in qualche modo il suo essere originariamente una zona rurale. I muri, imbiancati, dei trulli sono edificati direttamente sulle fondamenta in pietra calcarea e realizzati con la tecnica della muratura a secco, senza malta o cemento.[1] I trulli erano stati costruiti in maniera così semplice, ma allo stesso tempo utile agli umili contadini e proprietari terrieri che popolavano la zona.

Brandi annota che le prime notizie su Alberobello sono del 1797, quando fu fatta città regia e la sua struttura – con il trullo regio in fondo, l’unico a due piani – corrisponde a quella odierna. Prima di quella data Brandi non trova notizie, probabilmente perché il paesino era troppo emarginato e ancorato alla preistoria.
Tuttavia, i trulli più antichi che troviamo oggi ad Alberobello risalgono al XIV secolo: fu in quel periodo che ciò che appariva, ormai, come una terra disabitata venne assegnata al primo Conte di Conversano da Roberto d’Angiò, Principe di Taranto che divenne infine Re di Napoli dal 1309 al 1343.
L’appezzamento di terra costituiva il premio del nobile rampollo angioino per i servigi resi durante le Crociate. Tuttavia, già verso l’anno Mille sorsero degli insediamenti rurali da entrambe le parti del fiume, che adesso scorre sotterraneo. Le abitazioni a poco a poco si accorparono fino a formare dei veri e propri villaggi, in seguito soprannominati Aja Piccola e Monti.[2]
Proprio questo suo aspetto ancestrale e quasi magico colpisce Brandi negli anni 60’. Purtroppo, ad oggi, bisogna costatare il passaggio del tempo e con esso l’evolversi della società che è riuscita a modificare l’aspetto superficiale di Alberobello, nonostante sia rimasto, nell’aspetto complessivo e panoramico del paesino, ancora qualcosa di quella meraviglia che Brandi provò durante la sua prima visita.

Il passaggio da paesino rurale delle Murge a sito patrimonio dell’UNESCO portò ad Alberobello un consistente vantaggio per quanto riguarda l’aspetto economico, ma distrusse la sua essenza e la sua anima.
Quello che – a mio parere – salta più all’occhio è il propagarsi di negozietti all’interno dei trulli. Essi sono vari, dai bar, ai negozi di souvenir. Alcuni sono ristoranti che preparano le pietanze della cucina tipica, altri sono enoteche, che permettono la degustazione del vino prodotto dalle ricche campagne circostanti. Questo per dire che pochi sono ancora i trulli abitati, infatti molti sono dei B&B, quindi il suo originale scopo è stato surclassato.
Per quanto concerne, invece, l’apparato fotografico presente nel “Pellegrino di Puglia”: la foto “Alberobello”, scattata dal belvedere di Santa Lucia, inquadra una buona parte del rione Monti, e permette così di avere una visione molto particolare di Alberobello e della sua peculiarità.
A sinistra, Alberobello in una foto di Angelo Ambrosini (in Brandi, Pellegrino di Puglia, ed. 1960), a destra la foto di Valentina Langellotti (2020).
Per quanto riguarda la riproduzione di “Una strada di Alberobello” realizzata da Ambrosini, sembrava impossibile oltre che difficile riuscire a trovare delle informazioni riguardo alla stessa. Grazie ad un piccolo commerciante, ubicato nei pressi del Trullo Regio, sono riuscita nell’impresa.
A sinistra, Una strada di Alberobello in una foto di Angelo Ambrosini (in Brandi, Pellegrino di Puglia, ed. 1960), a destra la foto di Valentina Langellotti (2020).
Il Trullo Regio, unico nel suo genere, è chiamato in questo modo in quanto presenta una struttura diversa dalle altre, è l’unico a due piani e presenta al suo interno un atrio con un piccolo giardino.
Tornando al nostro angolo misterioso, si trattava di una piccola rientranza della strada, che porta poi alla tipica Chiesa dei Trulli. La foto degli anni 60’ è stata mostrata anche alla proprietaria di un piccolo bar, che si trova accanto alla rientranza, per ricevere conferma che fosse la stessa. La gentile signora, non solo ha riconosciuto la foto, ma ha anche raccontato che conosceva la famiglia e i bambini ritratti in essa, che un tempo abitavano all’interno di quella schiera di trulli. Si ricordava anche i nomi e le famiglie di appartenenza, diceva di conoscerli quasi tutti.
A sinistra, il Trullo regio in una foto di Angelo Ambrosini (in Brandi, Pellegrino di Puglia, ed. 1960), a destra la foto di Valentina Langellotti (2020).
Purtroppo, oggi quei trulli sono occupati da un “Wine bar” e una birreria. La struttura è, tuttavia, rimasta intatta ad eccezione di qualche decorazione in più, per renderla più accogliente ai visitatori.
Il periodo che tutti noi stiamo vivendo, ha portato delle perdite economiche ad Alberobello, abituata a riceve turisti in tutti i periodi dell’anno. Ma nessun problema particolare è sorto al momento della visita, in quanto per poter visitare il paese, basta percorrerlo con la mascherina.
La particolarità di questo paesino è proprio l’alta concentrazione di Trulli, perché se è vero che queste tipiche strutture sono presenti in quasi tutta la zona interna e rurale della Puglia settentrionale, qui si sono concentrati maggiormente tanto da formare un esempio unico nel mondo. Per Brandi i trulli di Alberobello sono paragonabili lontanamente solo a Gheremé in Cappadocia, con l’unica differenza che quest’ultimi sono trulli naturali e coperti da pietra rosa. Quindi, anche a sembrare ripetitiva, Alberobello rimane un sito unico e impossibile da riprodurre.
[1] http://www.unesco.it/it/PatrimonioMondiale/Detail/114
[2] http://www.italia.it/it/scopri-litalia/puglia/poi/la-storia-dei-trulli-di-alberobello.html