di Annamaria Ducci
Esattamente 225 anni fa, nell’ottobre del 1796, Giovanni Battista Fornieri assalì a colpi di mazza il monumento equestre del duca Francesco III d’Este che si ergeva, dal 1774, in Piazza Sant’Agostino a Modena. Fornieri era un illustre libraio della città, uomo colto educato alla filosofia dei Lumi e aveva ceduto al vento rivoluzionario che dai valichi alpini spirava ora anche in Italia. Per quell’atto Fornieri fu arrestato e incarcerato, ma non miglior sorte toccò alla statua. Di quel colossale monumento alto quasi sette metri, realizzato in marmo di Carrara, non resta oggi che un frammento, un monumentale piede destro. Abbattuta in quanto troppo danneggiata, nel 1805 quella statua fu sostituita con una ecumenica effigie della Immacolata, a segnale di una ritrovata concordia civica. Le statue di Francesco III e del suo cavallo furono poi letteralmente ridotte in briciole; la gloriosa effigie del duca fu così riportata al suo stato minerale. La polvere di carbonato di calcio fu venduta alla Manifattura del conte Carlo Filippo Aldrovandi Marescotti di Bologna, ed il caolino che se ne ricavò servì a realizzare sontuosi piatti in maiolica. Da immagine dell’autorità suprema di Modena, quel monumento finì dunque ad imbandire le tavole aristocratiche italiane. Sic transit gloria mundi (Fig. 1).
Perché ci siamo dilungati nel narrare questa vicenda? Non solo perché quell’atto ‘vandalico’ illustra alla perfezione le ondulazioni della storia, svelando un episodio chiave del fenomeno (quanto mai attuale) della iconoclastia ed in particolare dell’abbattimento delle statue anche nel nostro Paese. Non solo, ancora, perché ci narra delle oscillazioni del gusto in una fase stilistica quanto mai difficile da definire, tra echi tardobarocchi e nuovi canoni neoclassici : la statua principesca infatti, non fu restaurata, né conservata; chi volesse farsene un’idea può guardare al suo modello in gesso, mutilo, appartenente alle collezioni dell’Accademia di Belle arti di Carrara, o alla bella veduta di Piazza Sant’Agostino dipinta da Giuseppe Maria Soli e oggi al Museo del Castello Sforzesco di Milano. Ma soprattutto la storia del monumento modenese è metafora perfetta della fortuna critica del grande artista che quella statua di Francesco III d’Este realizzò: Giovanni Antonio Cybei (Carrara, 1706-1784). Scultore di fama europea, artista di corte dei potenti del tempo, Cybei fu ben presto offuscato da Antonio Canova, ed il suo nome si disperse come polvere nel vento della storia, proprio come il marmo frantumato del suo insigne monumento modenese.
Una importante e bella esposizione carrarese, da poco conclusasi, ha inteso proprio risarcire questo vuoto storico, riscoprendo questa grande personalità artistica, e con lui riportare all’attenzione degli studiosi uno snodo fondamentale nella storia della scultura italiana del Settecento.
La mostra Giovanni Antonio Cybei e il suo tempo. Insigne statuario per le corti europee e Primario Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, curata da Gerardo de Simone e Luciano Massari, si è tenuta a Carrara dall’11 giugno al 10 ottobre 2021. Con oltre cento pezzi tra opere d’arte e documenti, la mostra si è articolata in ben quattro sedi cittadine (Museo CARMI a Villa Fabbricotti alla Padula; Accademia di Belle Arti di Carrara; Palazzo Binelli; Palazzo Cucchiari) e ha rappresentato l’evento centrale delle celebrazioni per i 250 anni dalla fondazione dell’Accademia di cui Cybei fu il primo direttore dal momento della sua fondazione nel 1769.
La figura dello scultore (che fu anche ecclesiastico e lasciò opere nel Duomo e nel San Francesco di Carrara) è stata così attentamente ricostruita attraverso un’esposizione dal respiro ampio, con pezzi del patrimonio – ricchissimo – dell’Accademia stessa, ma anche con molti prestiti di livello, principalmente sculture in marmo provenienti da collezioni pubbliche e private, che in molti casi sono state restaurate per l’occasione ritrovando così quelle morbide forme plastiche, quelle carezze epidermiche e finezze in punta di cesello di cui lo scultore carrarino fu maestro. Cybei si era formato proprio a Carrara con uno dei massimi esponenti della scultura tardobarocca, Giovanni Baratta, il quale giovinetto lo inviò a Roma per fare apprendistato presso Agostino Cornacchini. Richiamato in patria, Cybei operò a lungo assieme al primo maestro, il quale, come gli altri scultori di Carrara, aveva il proprio studio “al Baluardo”, prospiciente la via Carriona, ovvero il percorso antico che lambiva i margini del centro storico e lungo cui dalle cave scendevano a valle i grandi blocchi marmorei. Proprio in quell’atelier Cybei avrebbe tenuto le prime lezioni dell’Accademia, impiantatasi poi dal 1780 in Palazzo Rosso Del Medico, e infine, nel 1807, nel rinnovato Palazzo Cybo-Malaspina. Di nuovo a Roma nel 1750, Cybei istituì una importante collaborazione col pittore Corrado Giaquinto (spia di un’osmosi tra le arti ben più frequente di quanto non siamo normalmente portati a ritenere). Forte anche di questa nuova esperienza romana, lo scultore si vide assegnare importanti commissioni, tra cui il celebre monumento funebre di Francesco Algarotti nel Camposanto monumentale di Pisa (1768). L’anno successivo fu quello decisivo: il felice ritratto di Aleksej Orlov, comandante della flotta imperiale russa, gli spalancò le porte dei potenti di mezza Europa, a cominciare dalla stessa Caterina la Grande, di cui Cybei eseguì un busto-ritratto che sarebbe stato anch’esso spazzato via dal vento della storia, nel 1917. Il busto-ritratto divenne in effetti con Cybei un genere moderno, nella reinterpretazione e al contempo superamento del modello berniniano. La colta aristocrazia ammirava quelle effigi per il delicato equilibrio tra espressione del carattere e contenimento delle emozioni, una medietas in pieno rispondente alla filosofia e all’etica illuminista. Si spiega così il gran numero di busti di sovrani, come quello del giovane Pietro Leopoldo di Lorena, granduca di Toscana (Fig. 2), o di Maria Teresa Cybo-Malaspina duchessa di Massa, figlia di una Gonzaga e moglie di Ercole III d’Este (la versione preparatoria in terracotta del suo ritratto si ammira nelle collezioni dell’Accademia, Fig. 3). Ma lo scultore immortalò anche alcuni tra i maggiori esponenti della cultura italiana del tempo, primo fra tutti Ludovico Antonio Muratori, il cui busto marmoreo ci accoglie dal 1774 nella Biblioteca Estense di Modena (Fig. 4). Da una collezione privata inglese proviene invece la straordinaria coppia di busti raffiguranti probabilmente due fratellini, volti di bambini come sospesi in bilico tra Arcadia e preromanticismo, cui il marmo nero dei piedistalli dona un malinconico sapore funereo che certo dovette ammaliare gli amateurs d’epoca vittoriana (Fig. 5).
Oltre ai marmi nella mostra di Carrara sono stati esposti anche materiali che definire accessori sarebbe riduttivo: bozzetti in gesso e terracotta (splendido, nella sua freschezza, quello per il suddetto monumento modenese, Fig. 6), dipinti, disegni preparatori, stampe, libri antichi e ancora importanti documenti (come il Chirografo di fondazione dell’Accademia vergato dalla duchessa Maria Teresa) e due meravigliose mappe acquarellate del territorio e della costa apuani nell’ultimo quarto del Settecento.
La mostra è stata soprattutto un’occasione per riscoprire Carrara ed il suo centro storico. Ormai da troppo tempo adagiata sulla sola economia – miliardaria, ma malata – dell’attività estrattiva e del suo indotto, la città aveva ed avrebbe ancora bisogno di una scossa che ne riattivi quella vivace storia culturale e civile che – anche grazie alla presenza dell’Accademia – l’ha contraddistinta per buona parte del Novecento. Attraverso una non facile ma virtuosa opera di messa a sistema di finanziamenti pubblici e privati, i curatori sono riusciti in un’impresa che pareva impossibile per una città lontana dai circuiti del turismo culturale. Ottima la scelta di distribuire l’esposizione aprendo al pubblico non solo la sede storica dell’Accademia ma anche due tra i palazzi nobiliari più eleganti del centro urbano. Penetrando nelle aule storiche dell’Accademia i visitatori della mostra hanno potuto contemplarne le decorazioni ad affresco ed i fregi in gesso e scoprirne la ricchissima gipsoteca; così, questa estate nuova linfa vitale è stata infusa ad una istituzione tra le più illustri della storia dell’arte italiana, riportata alla ribalta dalle molte recensioni positive dell’esposizione comparse su testate locali e nazionali.
Ma la mostra Cybei ha avuto anche un ulteriore merito. Grazie all’impegno profuso nella preparazione da parte dei due curatori e di un comitato scientifico di altissimo profilo, l’esposizione ha confermato come sia in atto, ormai da qualche decennio, un processo di crescita scientifica, oltre che didattica, nel mondo dell’AFAM. Non pochi tra i progetti di ricerca, mostre e pubblicazioni in storia dell’arte provengono oggi proprio da docenti e studenti delle maggiori accademie d’arte italiane. Da questo punto di vista sarebbe auspicabile un più stretto dialogo tra accademie ed università, per superare vetuste resistenze da parte di ambedue le istituzioni ed il pregiudizio di una dicotomia incolmabile tra fare arte e studiare arte, ancora in parte diffusi. La bella mostra di Carrara, cui sarà presto associata anche una corposa pubblicazione, ha dimostrato in pieno che tutto questo è possibile.