di Ilaria Miarelli Mariani
Patrizia Cavazzini, con la collaborazione di Yara Cancilla, Porta Virtutis. Il processo a Federico Zuccari, collana “Artisti in Tribunale”, diretta da Michele di Sivo e Massimo Moretti, Roma, De Luca Editori d’Arte, 2020
Il procedimento per eccessi del 1581 contro Federico Zuccari è la vicenda raccontata da Pa- trizia Cavazzini, con la collaborazione di Yara Cancilla, in questo primo volume dedicato ai processi di artisti, straordinariamente numerosi a Roma, come ci raccontano i documenti giudiziari della città. Si tratta però di un evento eccezionale, poichéper la prima e unica volta, un artista è pro- cessato e condannato nell’Urbe a causa dell’esecuzione ed esposizione di una propria opera. Il 27 novembre del 1581 Federico, console della corporazione dei pittori reggente dei Virtuosi del Pantheon e uno dei più rinomati artisti attivi a Roma in quel momento, fu bandito da tutto lo Stato della Chiesa con un procedimento velocissimo, gli furono infatti concessi solo quattro giorni per lasciare la città, altrimenti sarebbe stato condannato alla triremi. Stessa pena subì il suo aiutante Domenico Cresti, detto il Passignano.
Cosa aveva fatto di così grave il famosissimo pittore, che lavorava nella Cappella Paolina in Vaticano nell’opera iniziata dal grande Michelangelo? Il 18 ottobre, 1581, in occasione della festa di San Luca, come di consueto, i pittori avevano esposto le proprie opere presso la chiesa di S. Luca all’Esquilino, oggi non più esistente. Zuccari, console dell’Università dei Pittori tra il 1580 e il 1581, vi espose un grande cartone allegorico-satirico (4 mt per due), oggi non conservato, ma noto attraverso alcuni disegni e da una tela di derivazione, approdata nel 2007 alla Galleria Nazionale delle Marche. Sia Zuccari che il Passignano, che aveva lavorato al cartone con il maestro, passarono la giornata a illustrare l’opera tutti coloro che erano sopraggiunti per l’occasione festiva. A distanza di poco meno di un mese, l’11 novembre, Zuccari riceve l’ordine di presentarsi davanti al Tribunale Criminale del Governatore e il giorno seguente fu interrogato. In tale occasione dette tutta la colpa del cartone al Passignano mentre in una successiva occasione affermò di averlo eseguito quattro anni prima. Ma di quale colpa si stava parlando? Il cartone esposto per la festa dei pittori sulla facciata della chiesa romana intendeva rappresentare il trionfo dell’artista virtuoso sui propri critici ignoranti e invidiosi, che usavano la maldicenza per calunniarlo. Un memorandum presentato da Zuccari al processo sul significato del cartone aiuta a decifrarlo. Sullo sfondo di un arco trionfale, la Porta Virtutis, si staglia al centro la figura di Minerva che tiene fermo con il piede il Vizio. Al di sotto l’Invidia si contorce, avvinghiandosi alla figura di Mida con le orecchie asinine, ossia l’Ignoranza Crassa. Ai piedi di Mida, un cinghiale e una volpe, men- tre ai suoi lati le figure di Adulazione e Presunzione che gli mostrano una tavoletta recante l’iscrizione “Calunnia”. A destra, tre satiri rappresentano con complicati attributi l’invidia e la maldicenza, mentre nelle nicchie dell’arco trionfale, finte statue personificano le qualità che il vero artista deve possedere: Amorevole studio, Intelligenza, Labor e Diligenza. In alto due figure della Fama recano in trionfo una tavola bianca centinata dove si legge, nella tela oggi alla Galleria Nazionale delle Marche, “Tabula Zuccari”. In assoluta malafede, per tutto il processo il pittore affermò di non fare riferimento a nessun avvenimento in particolare. Eppure la “Tabula Zuccari” si riconosce perfettamente nel disegno preparatorio al cartone oggi conservato a Oxford, Christ Church. Si tratta della sua Processione e visione di San Gregorio Magno, eseguita per la chiesa del Baraccano a Bologna. Dopo ripetuti inviti, Federico Zuccari era giunto a Roma da Firenze all’inizio del 1580 per completare la Cappella Paolina e, in città aveva accettato unicamente commissioni provenienti dall’entourage del bolognese Gregorio XIII. Ma già nel 1578 lo scalco papale, Paolo Ghiselli, lo aveva coinvolto per l’esecuzione della pala d’altare per la sua cappella, all’epoca in via di costruzione, nel transetto destro della chiesa di S. Maria del Baraccano a Bologna. In omaggio al pontefice, il dipinto doveva rappresentare la famosa processione della Pasqua del 590 in cui Gregorio Magno aveva attraversato la città al seguito di un’icona della Vergine dipinta da San Luca mettendo fine alla peste. La pala fu eseguita a Roma con la collaborazione di Passignano e di Bartolomeo Carducci e fu spedita a Bologna entro il Natale del 1580. La Cappella fu inaugurata il 12 marzo 1581 dal cardinale di Bologna, Gabriele Paleotti, alla presenza di tutti i senatori bolognesi. Poco dopo, e del tutto inaspettatamente, il dipinto fu rifiutato e rispedito all’autore. I pittori bolognesi lo avevano ben presto criticato e a nulla valse la pro- posta di Zuccari di rifarlo più e più volte. Il dipinto fu sostituito da uno di analogo soggetto eseguito dal bolognese Cesare Aretusi con la collaborazione di Giovan Battista Fiorini su invenzione di Prospero Fontana. Umiliato ma anche profondamente offeso, Federico donò la pala, con qualche variante, al collegio bolognese dei gesuiti, ma a condizione che fosse esposta in pubblico. Trovò infatti posto nella chiesa di S. Lucia. La committenza allo Zuccari, pittore “forestiero” favorito dal pontefice Boncompagni, aveva infatti suscitato l’invidia dei pittori bolognesi, in particolare di Prospero Fontana, che non era stato chiamato a lavorare a Roma. Le critiche furono molteplici, sia di carattere for- male che di contenuto. Ma il rifiuto di un’opera per un artista comportava una grave perdita di immagine e una forte svalutazione economica della sua futura produzione, soprattutto in un momento in cui, come sottolinea Patrizia Cavazzini, il committente non stabiliva un prezzo iniziale e poteva rifiutare un dipinto se non approvato dalla comunità artistica. Ma esporre il cartone fu un grande errore: Ghiselli era protetto dal pontefice, che scatenò le sue ire senza precedenti sul pittore. Con la consueta arguzia nel collegare e ricucire tra loro indizi e documenti, Patrizia Cavazzini ci restituisce la concitazione e l’attualità della vicenda e del tormentato periodo di esilio da Roma di Federico che, in seguito non utilizzò più l’allegoria in maniera così diretta. Tornò infatti in città nel 1583 tramite i buoni uffici di Francesco Maria II della Rovere, Duca di Urbino, ma stessa sorte non toccò al Passignano che non godeva della medesima protezione. I documenti del processo erano già noti, ma dispersi in pubblicazioni diverse e sono stati qui riuniti, nuovamente trascritti e riprodotti in foto. Il volume comprende inoltre, per rendere più accessibile la vicenda, le biografie dei protagonisti, la pubblicazione di tutte le opere collegate, i disegni, la tela derivata dal cartone, la pala per il Ghiselli a Bologna, con relative schede e della vasta corrispondenza di Federico con il Duca di Urbino e con il suo ambasciatore a Roma, Baldo Falcucci. Un’operazione filologicamente corretta e scientificamente esaustiva che riesce a rendere nel suo complesso la vicenda con tutte le relative implicazioni, gelosie, protezioni, corporativismi e loro ricaduta sulle complicate carriere degli artisti.