Petrarca maestro: linguaggio dei simboli e delle storie

di Sonia Maffei

Paolo Cherchi, Petrarca maestro: linguaggio dei simboli e delle storie, Roma, Viella, 2018

Nelle imprese illustri di Girolamo Ruscelli (Venezia, Rampazetto, 1566, p. 323) è visibile l’impresa che Lucrezia Gonzaga aveva scelto per sé stessa, una cerva con il motto “Nessun mi tocchi”, che secondo lo scrittore voleva alludere alla prudenza, saggezza, purezza e castità della dama. Basti questo esempio a riprova della amplissima fortuna che i versi di Petrarca ebbero nel secondo Cinquecento in imprese ed emblemi, nei quali assistiamo non solo ad una vera e propria ripresa in chiave formulare e frammentaria della poesia del grande poeta, ma anche ad una loro traduzione in chiave figurativa. La visione della cerva, introdotta da Petrarca nel sonetto 190 dei Rerum vulgarium  fragmenta, è uno dei luoghi più interessanti ed enigmatici del Canzoniere, immagine che allude ad una bellezza verginale, ma al tempo stesso preziosa vitale e intoccabile; una delle tante prefigurazioni di Laura, che acquista una presenza visiva ed una pregnanza emotiva grazie ad un’attenta regia compositiva. L’indagine di Paolo Cherchi rivela infatti come la visione sia preparata da una sorta di gestazione silenziosa, che si manifesta nel canzoniere con gradualità attraverso anticipazioni e accenni che prendono via via forme figurative diverse, per poi condensarsi nell’epifania centrale dell’immagine simbolo.

Cherchi scopre in Petrarca tracce di un discorso mai riscontrato prima nella tradizione lirica che affida all’immagine poetica un ruolo determinante, folgorante, espressivo. I risultati dell’indagine dello studioso sono sorprendenti: più che la tradizionale chiave lirica Petrarca è analizzato in una prospettiva originale, che ne rivela il risvolto emblematico nella prefigurazione di procedure figurative e letterarie sviluppate nei secoli successivi. L’analisi non sovrappone al Canzoniere le griglie del genere cinquecentesco degli emblemi e delle imprese, ma piuttosto cerca di svelare attraverso essi le strutture simboliche e compositive della poesia petrarchesca, svelando i meccanismi che generano il potere e la densità emotiva dei suoi simboli, la meraviglia, lo straniamento provocato da una subitanea apparizione, l’evocazione di atmosfere e sentimenti, parole che comunicano molto più di quanto esprimono direttamente. Questi germi del genere degli emblemi, che ci vengono via via rivelati nella loro tecnica compositiva confermano quello che già sappiamo sulla spiccata propensione di Petrarca per le arti figurative e per la pittura, vista come uno strumento capace di cogliere l’essenza del modello, anche se in modo diverso rispetto all’analitico procedere delle parole e delle descrizioni.

E se nel Petrarca del De remediis utriusque fortunae, Cherchi vede l’artefice di un discorso che per certi versi prefigura alcuni aspetti del meccanismo compositivo che sovrintende la costruzione del linguaggio per immagini dell’Iconologia di Cesare Ripa, in altre opere è l’esemplarità ad aprire spazi inediti. I Rerum memorandarum libri, il De viris illustribus e i Triumphi  rivelano tratti di un modo particolare di vedere la storia. Prende forma qui un’esemplarità che anticipa la sensibilità umanistica e che richiama le sistematizzazioni cinquecentesche degli aneddoti, dei fatti e detti memorabili degli antichi. Petrarca rilegge i Factorum et dictorum memorabilium libri novem di Valerio Massimo in modo innovativo, ricercandovi un rinnovato rapporto tra antichi e moderni. La sua lettura diventa così una precoce manifestazione di una delle forme più classiche dell’enciclopedismo classicistico, la “concordanza delle historie” che riduce all’ordine la straordinaria varietà dei fatti umani e della storia senza limitarne la complessità. Infine il magistero di Petrarca è colto nella costruzione di una nuova figura di intellettuale, che pur coltivando la propria solitudine nel suo studiolo, non rinuncia al proprio impegno e ai propri doveri civici, al proprio sguardo critico sul mondo e sulle cose.

La forza di un classico è quella di offrire una visione che può risultare viva e attiva in epoche diverse: come un fiume carsico la poesia di Petrarca viene presentata nella sua attualità inedita, e riemerge nella sua complessità con la ricchezza di modi e temi, di strutture che avranno esiti definiti e visibili secoli dopo.

Tra gli studi di Paolo Cherchi, sempre originalissimi, folgoranti, lievi ed eruditi insieme, astutamente indagatori di prospettive inedite, queste pagine hanno un ruolo speciale, proponendoci un Petrarca visto da lontano con una visione che lo rende aperto a nuove dimensioni interpretative; ma nel libro il magistero di Cherchi offre anche qualcosa di più: dà vita ad un metodo interdisciplinare che lo rende una lettura fondamentale non solo per gli amanti di poesia e letteratura, ma anche per tutti gli studiosi di immagini.