di Laura Lombardi
Pur consapevoli del fatto che esistessero le conference call, pur avendo collegamenti su skype e pur avendo organizzato o partecipato a convegni con interventi di autori dall’altra parte del mondo, una larga fetta di noi docenti non sapeva veramente cosa volesse dire trasformare la didattica in aula in didattica on line, e con essa le riunioni di dipartimento, i consigli accademici, il ricevimento degli studenti… Col Covid-19 la rivoluzione si è compiuta nel giro di pochi giorni, negli atenei e nelle accademie di belle arti (e poco dopo anche nelle scuole), a suon di telefonate tra colleghi nel panico, di consultazione su quali piattaforme la propria istituzione avrebbe scelto, di siti da aggiornare repentinamente. In prima linea i tecnici informatici delle rispettive facoltà, accademie, scuole, si sono trovati assaliti da domande che avevano toni diversi, da quelli più sprovveduti e timidi a quelli più saccenti, da ingenuità dichiarate con vergogna, a ignoranza totale del web esibita invece con orgoglio.
Abbiamo così imparato – scrivo “abbiamo” perché, pur usando molto il computer, non mi ero mai confrontata a queste piattaforme – a usare meet, hangout, zoom, a caricare su classroom i “materiali”, a lasciare che gli studenti caricassero i testi in pdf che trovavano per metterli a disposizione degli altri compagni di corso, perché i libri indicati nelle bibliografie erano diventati introvabili e irraggiungibili. Tra i docenti ci sono stati poi stati gli outsider, gli anarchici, gli anticonformisti ( “lo streaming non lo faccio, mi sono accordato/a con gli studenti, registro le lezioni loro sono contenti così”), o quelli che sono decisamente scomparsi dalla circolazione, dando vita sulle pagine fb a esilaranti post nei quali compariva la pubblicità di Chi l’ha visto con la presentatrice (Federica Sciarelli) in primo piano e, inquadrata nello schermo alle sue spalle, la foto del professore che si era volatilizzato.
Alla fine la didattica, traballando, incespicando, è iniziata, seppur svelando alcune difficoltà per quanto riguarda proprio le Accademia di Belle Arti, dove la maggior parte degli insegnamenti laboratoriali sono quasi impossibili da svolgere in remoto e richiedono che il docente aguzzi l’ingegno per trovare modi di coinvolgimento e di trasmissione di certi saperi in una forma decisamente inconsueta rispetto al confronto diretto che la frequenza delle aule può offrire. Un aspetto curioso, considerando che molta espressione artistica contemporanea passa proprio attraverso la forma della fotografia e del video: eppure anche in quel caso il ‘contatto’ umano è apparso improvvisamente qualcosa di quasi ineludibile. Lo sforzo, nel caso di Brera dove insegno – e tale forma di didattica è stata prontamente attivata e con buoni risultati- è quello di mantenere un filo diretto per non fare sentire gli studenti soli, dando un senso, ma anche una veste ufficiale a questi corsi, pur non sapendo di preciso quale sarà l’esatta valutazione ministeriale della didattica on line. Appartenendo alla ‘categoria’ dei docenti teorici, e essendomi confrontata con alcuni colleghi in telefonate all’inizio interminabili – dei veri e propri stream of consciousness perché dalla didattica si scivolava al proprio modo di vivere la quarantena, ai casi familiari, ai progetti di lavoro e alle inquietudini di fondo, intercalate però da verifiche in diretta sulle funzioni (“da me si vede una striscina in alto”, “no a me appaiono invece le opzioni a bandiera a sinistra”) – riconosco di aver sviluppato una certa tenerezza verso questa attività così apparentemente fredda e impersonale. E di trovare dall’altra parte del black mirror, per citare la celebre serie Netflix di Charlie Brooker, altrettanta inaspettata attenzione e condivisione da parte degli studenti, non maggiore ma comunque diversa, oserei dire empatica, da quella a volte ricevuta in aula. Sarà la situazione così assurda nella quale siamo calati, sarà il senso di fatalità che ci avvolge (anche se, da statali, noi docenti per ora siamo tra i privilegiati),…. sta di fatto che le domande mi appaiono più intelligenti del solito, più strutturati gli interventi e singolare trovo sia lo slancio espresso dagli studenti per vivificare una così difficile relazione, che tenderebbe a avere un indirizzo univoco (docente verso studente), che potrebbe essere reso ancor più ‘a senso unico’ dalle difficoltà, talvolta, di connessione.
Non posso affermare di preferire la didattica on line a quella dal vero, posso però riconoscere, una volta conclusa la lezione, di rispondere quasi subito alle mail, con molta più cortesia di quanto alle volte ritmi più frenetici mi consentissero di fare e di cercare in ogni modo che nessuna maglia di questa fragile trama si sfili o si rompa e di cogliere una concentrazione tra i miei interlocutori che forse è proprio l’antidoto alla noia o, meglio, all’angoscia del presente.
Brava
Laura, non ho corsi in questo semestre, ma raccolgo le impressioni dei colleghi, in gran parte simili alle tue. Difficile stabilire se questa un po’ inattesa attenzione e vicinanza da parte degli studenti sia dovuta all’empatica condivisione dell’eccezionalità del momento, oppure ad una loro maggiore consuetudine con questa modalità di comunicazione da noi maturi meno praticata. Di fatto, credo che qualcosa di questa esperienza rimarrà, ad integrare, affiancare la didattica. E’ comunque un cimento che mette alla prova abilità diverse e fa scoprire potenzialità che forse non sapevamo di possedere.
Raffaele, rispondo al tuo commento: è vero che l’empatia potrebbe essere apparente, frutto della consuetudine dei giovani con le modalità di comunicazione. Tuttavia, almeno per quanto concerne il caso Brera, nei post degli studenti su fb (quelli pubblicati nelle pagine che possiamo vedere ma anche in quelle che ci sono precluse) si trova espressa invece, nonostante tutto, molta ansia di tornare in aula e di comunicare direttamente col docente. Trattandosi inoltre di una regione come la Lombardia, la didattica on line mi è sembrata giungere loro come un surrogato di ‘normalità’ in contesti in molti casi assai inquietanti .
In tempi di fase 2 sembra ormai chiaro che la tendenza del prossimo anno accademico sarà quella della didattica mista e sembra altrettanto chiaro che rimarrà permanente, come già annunciato da università straniere. È un momento piuttosto delicato che va affrontato con estrema cautela