Dürer e Leonardo. Il Paragone delle Arti a Nord e a Sud delle Alpi

di Paolo San Martino

Simone Ferrari, Dürer e Leonardo. Il Paragone delle Arti a Nord e a Sud delle Alpi, con una prefazione di Lauro Magnani, Genova, Gup, 2020

Il volume di Simone Ferrari riprende e sviluppa temi anticipati dallo studioso in pubblicazioni come Forestieri a Milano (2013) e I Luoghi di Leonardo (2016), ma con nuovi argomenti e arricchendo la densa trama che collega i due maggiori protagonisti del Rinasci- mento europeo. Al centro del volume troviamo il paragone fra le arti, che non fu certo un patrimonio unico dell’Arcadia ma che rimonta indietro nel tempo e diventa un tema nodale all’epoca. La reciproca conoscenza fra artisti, i viaggi di studio, gli interventi dei committenti, sono snodi di un confronto tra i due grandi esponenti del Rinascimento italiano e tedesco. Vi furono ampie convergenze, ad esempio nel paesaggio e nel disegno düreriano che Leonardo accoglie molto prima di Pontormo al Galluzzo e che l’esegesi critica e metodologica disvela in confronti stilistici che postulano la necessità dei viaggi italiani del maestro tedesco che, grazie a tale occasione, raggiunge una maniera moderna apprezzata anche dagli italiani. I temi in comune sono molteplici: l’interesse per l’antico, non visto quale sterile retaggio formale ma col senso vivido dell’attualità; il concetto di Idea, già affrontato da Panofsky in un volume magistrale e che, a seconda dei casi, si pone in termini dialettici/ dualistici o di reciprocità rispetto all’imitazione della natura; l’obiettivo della Bellezza, che li accomuna al soave Raffaello, anche se con diverse declinazioni (in Dürer ha certamente un valore prioritario); il senso della Natura ravvisabile in entrambi, esplicitato in una visione a 360 gradi e simboleggiato al vertice dalla Gioconda. Il tutto in un linguaggio visivo di taglio europeo che li affratella, come precocemente era già stato intuito da Longhi. Il libro si articola in tre capitoli e dieci paragrafi. Al centro troviamo il paragone delle arti che è già retaggio quattrocentesco ma che si chiarifica a fine secolo e nel successivo paragonando natura, idea, filosofia, bellezza, concetti per i quali la pittura nella “cresta sottile” del primo-secondo decennio del XVI secolo, darà il primato alla produzione di Raffaello e del Buonarroti. Il tema non sarà solo degli artisti ma di mecenati, filosofi e letterati. In area oltremontana si riconosce in Dürer l’artista che ha superato l’antico; in Italia la storiografia vasariana non farà altrettanto mettendo al vertice Buonarroti. Leonardo appartiene ad una generazione precedente e non può competere con lui. Resta un gradino sotto e l’insistenza con cui il biografo sottolinea i fallimenti artistici (a Firenze e Milano) ci rende l’opinione dell’aretino: il Vinci è un grande pittore che ha sacrificato la vita in un attività discutibile, da ricercatore empirico e da organizzatore di feste. Un topos riproposto anche da Castiglione. È interessante notare come la critica nordica metta in luce Dürer, l’unico pittore realmente stimato nella penisola. Buonarroti nelle parti attendibili dei Dialoghi di Francisco D’Hollanda arriva a considerare arte e buona pittura soltanto quella italiana e se, per un caso capriccioso del destino artistico, uno straniero riuscisse a imitare la maniera italiana, non sarebbe un valente fiammingo o tedesco ma semplicemente un rappresentante dell’Italia, l’insuperabile paese delle “Aquile” artistiche. Il progresso che Dürer e Leonardo hanno impresso alla pittura non è un fatto accettato senza contrasto. Anzi. La loro è una lotta per affermare attraverso diverse modalità la dignità dell’artista a paragone con le altre arti liberali. Cosa molto difficile per il tedesco ma non meno ardua per l’italiano, soggetto, come ci ricorda l’Anonimo Magliabechiano, ai motteggi di Buonarroti che considera Leonardo un artista non a livelli della linea Firenze-Roma ma buono per quei “caponi” di milanesi, che accettano di tutto. Qui si restringe il campo dell’arte italiana a due sole città, lasciando il resto a livelli della “mala maniera franzosa” (Cellini) e schernendo, anche nel secolo successivo, i “fiamminghi e francesi che vanno e vengono e non si può dar regola”. Il viaggio di Dürer in Italia lo conferma come il massimo maestro internazionale. La sua sensibile capacità ricettiva (che è degna di Raffaello) lo avvicina alle opere per lui di maggiore suggestione, come, ad esempio, Mantegna e Jacopo de Barbari. Ma sarà la vena nordica di Leonardo ad affascinarlo. Un pittore capace di passare dal calligrafismo dell’Annunciazione alla pittura atmosferica, quasi ottocentesca, della Gioconda. Ferrari molto acutamente mette a confronto il famoso Paesaggio della Valle dell’Arno di Leonardo con gli acquarelli Düreriani. Qui il toscano ha un segno, una allure stilistica da nordico che se da un lato è spiegabile con la giovane età, dall’altro dimostra un orientamento europeo che è cosa rarissima per un italiano, a meno di non voler affondare la prima maniera leonardesca nel tardo gotico fiorentino. Nel paesaggio le tangenze sono veramente notevoli e bene fa Ferrari a sottolinearlo. Se confrontiamo altri disegni dei due fra cui il leonardesco Fiume tra le rocce, essi ci appaiono quasi sovrapponibili e il Vinci sarà portatore negli sfondi dei dipinti di questa porzione di ‘maniera tedesca’ che avrà seguito a Milano come a Firenze, come nel caso del ‘Maestro dei paesaggi Kress’. Sul piano mimetico, quando si tratta di riprodurre porzioni della natura, Dürer sembra ancora più a suo agio di Leonardo. Il disegno da incisore, la pennellata che si fa puntasecca insegue la mimesis naturalistica con una straordinaria efficacia. I due artisti seguono percorsi paralleli che si ricongiungono all’etica della libertà artistica e ad un rifiuto di linee poetiche normative esterne alla loro sensibilità. Più coerente sarà Dürer, mentre Leonardo, nel Trattato della pittura, vagheggia la superiorità del pittore (che non si infarina di marmo come un fornaio e si legga qui la figura del nemico Buonarroti). Oltre a quanto indicato, il volume documenta l’ampio dibattitito critico relativo ai rapporti fra i due grandi maestri europei, ripercorrendo la fitta trama di relazioni che li accomuna fin da date assai precoci (anni ‘90 del Quattrocento) e aggiungendo nuove considerazioni e convincenti confronti stilistici relativi ai temi più noti (il rapporto con Mantegna) e alle ipotesi più dibattute ma plausibili (il soggiorno lombardo).