di Eirene Campagna
Pierre Nora, tra il 1984 e il 1992, scrive e pubblica Les lieux de Mémoire, contribuendo all’ingresso della parola-chiave “memoria” nella riflessione storico-sociale del suo tempo. Grazie al suo lavoro si definiscono “luoghi della memoria” quelli in cui si condensano le immagini di un passato carico di significati: possono essere spazi mentali o fisici, reali o immaginari, investiti di un significato “totale” o evocativo del senso di appartenenza degli individui a un determinato gruppo. Negli stessi anni in cui scrive Nora, le politiche culturali sulla danza avviate in Francia delineano un desiderio di “memoria della danza” che produce un vero e proprio bisogno di cultura coreografica. Come puntualizza Susan Foster nell’International Encyclopedia of Dance, lo studio della danza contemporanea non deve porre l’attenzione soltanto su cosa significhi la danza, ma anche su come essa esprima il suo significato. Infatti se la danza incarna una teorizzazione di relazioni tra il corpo e il sé, tra i corpi e la società, il significato è il prodotto di un accordo culturale, cioè il risultato di un uso sistematico di codici e di convenzioni condivise da un gruppo. Uno dei progetti che ha maggiormente segnato la presenza della danza negli spazi museali, stimolando un ampio dibattito a partire dalla riflessione sulle forme di patrimonio culturale materiale e immateriale, è quello elaborato dal danzatore e coreografo francese Boris Charmatz, che nel 2009 ha rinominato Musée de la danse il Centre Choréographique de Rennes. Charmatz si basa sull’idea che la creazione di un museo della danza presupponga il superamento dell’idea di museo come luogo statico e di conservazione, per far spazio ad un’idea inedita ed innovativa di museo inteso anche come luogo privo di muri, che non abbia necessariamente la forma di un edificio, ma che sia uno spazio definito principalmente dalle attività e dai corpi che lo attraversano.[1]
In questo senso è chiaro che la presenza della danza nei musei conferisce ai danzatori uno statuto speciale: non solo esecutori di opere coreografiche, ma veri e propri archivi viventi. Questa compresenza di materialità e immaterialità museale ci consente di fare un passo indietro nel tempo: infatti, nel 2003 l’UNESCO introduce il concetto di patrimonio immateriale, e con esso l’idea di preservare, comunicare e salvaguardare anche i processi creativi e la trasmissione dei saperi pratici e incorporati. Il riferimento più immediato, se pensiamo alla danza, è quella folkorica, etnica o sociale, fino ad arrivare alla danza moderna e contemporanea.[2]
A sostegno di tutto questo ricordiamo gli interventi, nel corso del Novecento, di Isadora Duncan, presso atelier di artisti e nelle sale espositive di alcuni musei, con cui la danzatrice trasformava il museo in teatro e il teatro in museo, saldando così un binomio che ha attraversato tutto il Novecento estendendosi, come abbiamo visto anche agli anni Duemila.
Applicando la definizione di luogo di memoria ai musei, considerati veri e propri “mediatori di memoria”, vediamo come ancora oggi si può assistere ad una profonda penetrazione di danza e performance negli spazi museali, con l’intento di rinnovare gli approcci espositivi facendo leva sull’effetto emotivo e cognitivo che gli interventi performativi producono sul pubblico, trasformando gradualmente il semplice visitatore in spettatore. L’attenzione al pubblico e la sollecitazione ad un suo ruolo attivo e propositivo sono stati i punti fermi del progetto realizzato nel 2022 dall’Associazione Campania Danza, intitolato Tracce di memoria, un percorso di danza in alcuni musei archeologici della provincia di Salerno, trasformati in ideali quaderni dell’arte. Come afferma la direttrice dell’associazione e l’ideatrice del progetto Antonella Iannone: «La danza diviene lo strumento attraverso il quale ritrovare le tracce di memoria che i musei custodiscono per rafforzare la cultura identitaria di un territorio». Il progetto, che ha visto protagonisti i danzatori Simone Centanni, Aurora Convertini, Francesca D’Arienzo, Olimpia Milione, Melania Nicastro, Alessandro Esposito, Maite Rogers Gastaka, Giulia Pisanti nelle coreografie realizzate da Antonella Iannone e Simone Liguori, è andato in scena presso il Museo Archeologico Nazionale “M. Gigante” di Buccino, il Museo Archeologico Nazionale di Eboli e il Museo Archeologico Provinciale dell’Agro Nocerino. Attraverso il linguaggio della danza contemporanea, i musei archeologici salernitani sono stati trasformati in spazi performativi, e i corpi dei danzatori intesi come depositi attivi di memoria. Le performance, che possiamo definire site specific, hanno cercato, attraverso la riattivazione degli spazi museali, di individuare nuove strategie per avvicinare le comunità al loro patrimonio artistico e culturale, rinsaldando il loro senso di appartenenza a quell’eredità o facendo fare loro l’esperienza dell’alterità.
[1] https://www.moma.org/momaorg/shared/pdfs/docs/calendar/manifesto_dancing_museum.pdf (u.v. 09/01/2023)
[2] https://ich.unesco.org/en/what-is-intangible-heritage-00003 (u.v. 09/01/2023)