di Gaia Salvatori
Nadia Barrella, Cucita addosso – La collezione Tesorone: un secolo di collezionismo borghese, Luciano Editore 2021
Una presentazione, per definizione, non ha bisogno di titolo, eppure, se lo si volesse immaginare, nel caso di una ‘presentazione’ al libro di Nadia Barrella Cucita addosso, si potrebbe far ricorso al concetto di decorazione e ornamento come termini di ‘mediazione’. Meglio ancora di ‘intermediazione’ fra i molti aspetti della produzione artistica di un’epoca, relativamente a un contesto territoriale e alla storia di specifiche figure. Questa che Nadia Barrella ci offre, infatti, è una storia di “delicati meccanismi di raccordo tra collezione, società e protagonisti”, volta ad esplorare l'”inedito mondo del collezionismo borghese” a Napoli fra Ottocento e inizio Novecento. Un padre e un figlio ne sono i protagonisti (Pasquale e Giovanni Tesorone), per la prima volta letti in una storia di vite, scelte, avventure intellettuali e ‘politiche’ che, seppur necessariamente diverse, solo ora si possono riconoscere come, tuttavia, strettamente correlate, in un contesto, peraltro, di statura internazionale.
Paradossalmente l’autrice ci fa entrare, pagina dopo pagina, in una collezione che non c’è (ma che tuttavia c’è stata), partendo significativamente dalla ricostruzione del contesto familiare, lavorativo e culturale da cui la collezione di Pasquale e poi Giovanni Tesorone si è alimentata: un “laboratorio domestico” che, con l’incremento delle sue componenti, sfonda mano a mano le pareti cambiando di sede, ricoverandosi nelle esposizioni, prefigurando nuovi modelli di sviluppo delle arti e dei loro fruitori; un laboratorio che da privato si fa ‘pubblico’ come una sorta di manifesto, meridionale (seppur informato alle più avanzate istanze socio-culturali dell’epoca in merito alla rivalutazione delle arti come strumento di progresso). Un manifesto, in sostanza, della fede nel rapporto fra arte e industria come strumento di crescita di quelle arti che, non più definite ‘minori’ e ‘maggiori’, trovano nella reciproca convivenza una nuova ragion d’essere.
Può essere utile, a questo proposito, insistere in queste poche mie righe sui concetti da cui siamo partiti. Decorazione e ornamento, dunque, usati spesso come sinonimi per la natura sussidiaria di cui sono portatori, si distinguono piuttosto, nelle figure dei protagonisti oggetto di questo volume, o meglio, si diramano in ragione delle specifiche attività produttive ed artistiche dai protagonisti intraprese. Eppure, la vita e le iniziative del mercante-imprenditore/sarto-collezionista (Pasquale Tesorone) e dell’operatore artistico/ conoscitore, designer, critico d’arte (Giovanni, figlio di Pasquale), negli anni di maggior incremento delle iniziative nell’ambito della promozione delle arti decorative a cavallo fra ‘800 e ‘900, sembrano ‘ricucire’ tale dicotomia.
Se la decorazione può aiutare a completare, abbellire un qualcosa (una parete o il corpo di una persona), ciò che si arricchisce di un tale intervento, acquisisce significato. La decorazione aggiunge, dunque, bellezza a ciò che adorna, ma incarna, tuttavia, qualcosa di impermanente, forse proprio perchè connessa inestricabilmente alla componente umana, al lavoro, al fare concreto e materiale al quale ‘a doppio filo’ è legata, insieme alla componente relazionale, ossia al pubblico cui è rivolta.
Credo di poter individuare in alcuni di questi aspetti le ragioni della nascita e della crescita d’interesse (nei confronti dei temi ruotanti intorno a tali arti nelle relative implicazioni museologiche e critico-metodologiche) tanto dell’autrice di questo libro, come anche di chi scrive, abbracciate negli anni in filoni di ricerca comuni.
Ricordo il freddo degli scalini di marmo della Biblioteca Nazionale di Napoli, cui contrastava il fervore delle nostre discussioni, quando si studiava in sede sui documenti dell’Esposizione Nazionale di Belle Arti del 1877 e del relativo Congresso, così come sugli appassionati fogli di critica della stampa periodica del tempo. Da quelle pagine, in particolare, cogliemmo in modo convincente e tangibile quanto il termine stesso di ‘decorazione’ o ‘ornamento’ (nel momento di più alta integrazione – in epoca moderna – delle cosiddette arti minori alla storia artistica) fosse stato assimilato, nei fatti della storia, in quello di ‘arti applicate’. Erano, evidentemente, le ragioni della ricercata fusione di arte e industria (come perseguite dal principe Filangieri sin dal progetto di Statuto per la costituzione di un museo artistico-industriale nel 1881) ad aver deciso la strada del futuro di tutte quelle arti più implicate di altre nelle dinamiche della produzione ‘utile’ al rinnovamento della vita della borghesia in ascesa.
Ebbene, il congresso e l’esposizione del 1877 diedero spazio alle ‘arti applicate’ alle industrie e alla decorazione, senza discriminazioni, purchè fossero riferibili a “tutto ciò che nell’industria del paese è attinenza con la forma estetica del bello” e purchè fossero “formule d’istruzione e di progresso”. Si trattò di un momento di svolta per un’intera generazione, evidentemente, come ben viene chiarito in questo libro. Una generazione che dalle iniziative filangeriane coglieva gli impulsi più costruttivi in prospettive di crescita, sia di collezioni di arti di più generi (l’esempio dei Tesorone docet), che di scuole e musei (il M.A.I dal 1882 a Napoli avrebbe proprio cercato di legare formazione e produzione).
Che Pasquale Tesorone avesse fatto crescere la sua collezione artistica partendo dall’attività di sarto (dedito al ‘decoro’ e all”ornamento’ della persona, appunto), nell’epoca precedente alle vicende cui si è fatto cenno, non può che convincerci, dunque, quanto sia stato proprio dal mondo dell’imprenditoria – per quanto agli albori nella Napoli preunitaria – che si sia fatto strada un consapevole collezionismo d’arte di ampio respiro (di pittura, scultura, ceramica e molto altro).
Pasquale, dunque, “facoltoso collezionista di generi di moda” – come ricorda Nadia Barrella – lo vediamo passare da ‘sartore’ a proprietario di un ricco emporium fornitore della stessa famiglia reale e, soprattutto, sin dagli anni ’30 dell’800, impegnato a mettere insieme una collezione ampia e significativa sia di arti applicate che di dipinti e disegni contemporanei. Un uomo colto e “mosso da notevole capacità di giudizio”, quindi, di cui è interessante apprendere la decisione delle scelte e l’adesione ad “un linguaggio artistico antiaccademico aperto alla sperimentazione all’innovazione” che apprese e coltivò – come sostiene l’autrice – anche a seguito delle “spinte provenienti dalla cerchia di artisti che frequentavano la sua casa”(i Palizzi, Morelli, Toma) che, “sia pure con sfumature diverse, sono tra i più vivaci sostenitori di un nuovo ruolo dell’artista nella società e di nuovi percorsi di formazione dello stesso”.
Mi pare questa una questione centrale: è la ricostruzione del ‘contesto’ che illumina e guida, per l’appunto, la lettura di storie ‘private’.
Immaginare delle dinamiche di storie di cui si conoscono solo pochi elementi può diventare, allora, un atto di coraggio che rende possibile la ricerca scientifica oltre le secche (a volte inerti) della raccolta di documenti e materiali.
Nadia Barrella, così, ‘immagina’ Pasquale e Giovanni nelle dinamiche della vita: il primo sarto, collezionista di arti e moda, antiquario, il secondo erede dal padre oltre che di opere e oggetti, di un modello culturale. Entrambi impegnati – l’uno con la Società napoletana di Storia Patria, l’altro con il Club Alpino italiano – aderiscono a “spazi di associazionismo istituzionalizzato” propri di “un élite colta e attenta alle memorie storiche”: terreno di coltura della promozione di alcune importanti iniziative a Napoli fra gli anni ’70 e ’90, come l’ Esposizione Nazionale di Belle Arti del 1877, la fondazione del Museo Artistico Industriale nel 1882, la costituzione del comitato napoletano della Società Italiana per l’Arte Pubblica nel 1899. Iniziative che segnano il momento di massima maturazione di un percorso che, iniziato negli anni precedenti all’Unità, affida all’esposizione e al museo, in una prima fase, e poi alla divulgazione e alla formazione, ed anche al commercio, il destino della promozione delle arti.
E’ significativo quanto, a questo proposito, Giovanni si leghi a Pasquale anche laddove sceglie la pagina stampata per riflettere sulla storia della produzione artistico-industriale, oltre che di alcuni protagonisti della pittura antiaccademica. Giovanni, a questo scopo, esce allo scoperto sulla migliore stampa periodica, mettendosi in gioco, nello stesso tempo, nelle commissioni preparatorie di importanti esposizioni nazionali e internazionali. La ricostruzione di queste presenze, proposta da Nadia Barrella, diventa, così, una chiarificatrice chiave di lettura del tema centrale di questo libro.
Per consolidare la posizione volta a sostenere “le forze vive” dell’arte industriale “concorrenti” insieme all’agricoltura alla “futura prosperità economica della nazione italiana” (G.T., 1893), Giovanni torna indietro, per esempio, a riflettere sull’operato dal 1864 a Napoli di Alfonso Casanova “soldato civile” dall'”ardor medievale” nel campo dell’insegnamento delle arti applicate e fondatore (nel 1880) della Scuola d’arte e mestieri all’Albergo dei Poveri. Giovanni vede futuro, in sostanza, nella “progressione didattica di cultura artistica”intrapresa da Casanova; tanto quanto, successivamente l’avrebbe vista in un grande pittore come Gioacchino Toma che “prima ancora che venisse determinandosi il movimento odierno verso le arti decorative, […] presentì il bisogno di volgervi il suo animo d’artista per istabilire un legame fra il senso della bella forma e della sua pratica applicazione agli usi della vita” (G. T., 1906).
Casanova e Toma entrambi paladini, si potrebbe dire, dell'”arte dell’insegnare” (G. T., 1906), spinti da intenti pattriottici e civili, sembrano piacere a Giovanni quasi più per il loro operato che per la specificità dei loro prodotti. Anche se solo attraverso la qualità di questi ultimi ci si può aspettare riconoscimenti da parte del pubblico e del mercato ai più alti livelli. Dimostra di essere di ciò fermamente convinto, peraltro, quando insiste sulla figura integrale dell’artiere’ (disegnatore di modelli ed esecutore fedele degli stessi), quando fonda egli stesso una ‘industria’ per ‘applicazione della ceramica all’architettura (la Figulina Artistica Meridionale) e quando si impegna in prima persona in alcune commissioni e comitati locali di importanti esposizioni.
Insieme al presidente del M.A.I. e a Morelli, si reca nelle varie città del Regno a visitare gli opifici ai fini di una selezione dei migliori anche per l’esposizione universale di Parigi del 1900, incoraggiando finanche i più bisognosi “nell’interesse generale della diffusione della cultura industriale” (G.T., …); per la Mostra Internazionale d’arte decorativa di Torino del 1902 lamenta la scarsa presenza di rappresentanze meridionali, pur meritevoli, e l’assenza persino di “precursori” (come Comencini) “dei nuovi orizzonti dell’arte decorativa” (G. T., 1902). Si appella alla storia, dunque, per ricostruire le tappe e le caratteristiche principali delle produzioni e dei modelli indispensabili per la formazione dei nuovi artefici – soprattutto nell’arte della ceramica di cui si rivela profondo conoscitore – che tuttavia non deve fermarsi ai modelli da museo, ma deve sempre essere attivata dal “sentire intimo” dell’artefice (G.T., 1902): quelle “virtù sentimentali” (G.T., 1906) che appartengono a tutte le arti, a partire dalla stessa pittura.
Questo e molto altro nei numerosi testi pubblicati da Giovanni Tesorone lungo l’arco di più di un ventennio e che, per questa speciale occasione, abbiamo velocemente ripreso. Sarebbe bello (e assai utile) rileggerli, tuttavia, in una raccolta e pubblicazione integrale: un nuovo, auspicabile, atto di coraggio per l’amica autrice di questo libro? Si potrebbe così finalmente ‘ricucire’ integralmente ai pezzi di una collezione e al gesto critico primario che l’ha resa possibile, anche l’ulteriore attitudine critica, quella della riflessione e della maturazione di pensiero affidate alla scrittura, di cui i vari aspetti della personalità di Tesorone sono permeati.