IL SALVATAGGIO DELL’ARTE IN TEMPO DI GUERRA: LA STORIA DEL TESORO DI SANT’AGATA NELL’ESTATE DEL 1943

di Carla Puglisi

Sono trascorsi ormai ottantacinque anni dall’inizio di quella grande guerra che ha segnato le sorti del nostro mondo. La Seconda Guerra Mondiale sappiamo non essere stata una guerra fatta solo di armi, di potenze vincitrici e perdenti, è stata una dura lotta alla sopravvivenza per tutti, per i soldati protagonisti in prima linea, per i civili, i quali venivano bombardati, uccisi, sterminati, lasciati senza cibo e acqua. Ed è stata anche una lotta per la sopravvivenza dell’arte. Nei cieli d’Europa volavano costantemente aerei carichi di esplosivi, molte città italiane furono rase al suolo e di questi disastri, oggi, non ci restano che fotogrammi, ricordi di scorci fantasmi che oggi non esistono più. L’arrivo degli alleati, inglesi e americani, nel nostro paese, segnò le sorti di un futuro che sembrava già essere scritto, la vittoria dell’“eroe” sul “cattivo”.

Mentre la Germania, sotto il comando di Hitler, cercava sempre più di espandersi in tutta Europa, in Sicilia e a Catania non succedette quasi mai niente di significativo e i primi anni di guerra passarono quasi velocemente. Fino al 1943, anno molto significativo, non solo per la Sicilia, ma per tutta Italia.

Siamo a Catania. A cominciare dal mese di aprile i cittadini iniziarono a giungere nei vari paesi etnei, ai piedi del vulcano, allontanandosi apparentemente dalla guerra e in particolare dai bombardamenti da parte degli inglesi e degli americani che colpivano incessantemente la città.

I paesi etnei risultavano per quei mesi i più sicuri luoghi dove poter rifugiarsi dalle bombe, anche se, con il passare delle settimane, la guerra giunse anche lì.

In quei duri mesi l’Arcivescovo Mons. Carmelo Patanè iniziò ad organizzare numerosi comitati in cui si presero decisioni molto importanti riguardanti l’incombere aggressivo della guerra. Si pensò, quindi, a come garantire il servizio religioso in tutta la città etnea e, soprattutto, si valutò su come salvaguardare e mettere al sicuro, lontano dalle bombe e dai possibili furti e saccheggi, tutti gli arredi sacri e oggetti preziosi della Chiesa di Catania, inclusi chiaramente il Tesoro e le Reliquie della Santa Patrona catanese. 

Non fu affatto facile prevedere l’andamento della guerra e capire quale fosse la soluzione migliore per mettere in salvo i tesori catanesi, ma, a seguito di continue e lunghe riunioni in curia, furono proprio l’Arcivescovo Mons. Carmelo Patanè e il Vicario generale Mons. Carciotto a prendere delle decisioni a riguardo.

In pochi erano a conoscenza del fatto che il Vicario generale Carciotto trovò rifugio, insieme ad alcuni suoi parenti, nella canonica di Fleri, alla quale toccherà un compito molto importante: custodire parte del Tesoro e i preziosissimi Reliquiari della Santa catanese, tenerli al sicuro non solo dai bombardamenti, ma anche e soprattutto dalle mani dei tedeschi e degli alleati anglo-americani, che avrebbero potuto farne bottino di guerra.

Tali fatti risultano a molti, ancora oggi, poco conosciuti in quanto si svolsero in totale segreto ai tempi.

Ma la guerra non concedeva tregua e gli eventi precipitavano a causa dei continui bombardamenti. Il tempo era prezioso e doveva essere impiegato rapidamente per mettere al sicuro tutto quel tesoro.

Con l’accavallarsi delle vicende belliche l’Arcivescovo catanese capì che era arrivata l’ora di portare avanti il suo piano. Così egli, per mezzo del Rettore del Seminario, Mons. Francesco Pennisi, aveva fatto spargere la voce che i Reliquiari e i Gioielli avevano preso la via per Roma, trovandosi al sicuro al Vaticano. Era una bugia a fin di bene, che andava detta per far credere che le Reliquie della Santa catanese non si trovavano più a Catania, anche perché la città era ormai la favorita preda di saccheggiamenti e si aveva il timore che anche il Duomo e gli edifici ad esso adiacenti venissero profanati e spogliati dei loro importantissimi tesori.

Il problema adesso era però trovare chi potesse trasportare le Reliquie nel centro etneo. Furono padre Messina e il Vicario a ritenere più idoneo a tale compito il barone Gaetano Francica Nava, nipote della baronessa Caterina e del Cardinale Giuseppe. Tale gentiluomo aiutò in diverse occasioni la Chiesa catanese e quella di Fleri in particolare e, per questo motivo, era per Padre Messina di assoluta fiducia.

Così, il 14 maggio all’alba, due automobili partirono dalla villa Francica Nava con un’atmosfera di attesa. Il piccolo convoglio entrò a Catania dal Tondo Gioeni e, attraversando la via Etnea, raggiunse il cortile dell’arcivescovado. Senza perdere tempo, i tesori furono caricati. Le due auto ripartirono in tutta fretta verso Fleri, dove arrivarono alle 10:00 del mattino di quel 14 maggio. Il barone chiamò due castaldi di sua fiducia, che si occuparono di trasportare la pesante cassa contenente le Reliquie dalla macchina, senza avere la minima idea di sapere cosa essa custodisse.   

Successivamente, la cassa fu fatta scendere nella profonda buca della cisterna, insieme ai calici d’oro e a parte delle cassette del tesoro della Madonna delle Grazie. Tutte queste operazioni furono eseguite nel più completo silenzio e segretezza. Solo il barone, padre Ignazio Messina e il Vicario erano a conoscenza del contenuto della grande cassa.

A partire da quel 10 luglio 1943 soldati americani e inglesi giunsero sull’isola avvicinandosi sempre più alla città di Catania, mentre i tedeschi piano piano iniziarono a ritirarsi, passando per le province etnee, fino a raggiungere Messina.

Ma, proprio durante la loro ritirata, i soldati tedeschi erano venuti a conoscenza che una delle stanze della chiesa di Fleri era stata utilizzata da un medico, come luogo attivo per la medicazione dell’esercito italiano, fin dal giugno del 1942. Poiché il compito principale di Don Ignazio era comunque salvaguardare le Reliquie della Santa catanese, cercò di essere il più disponibile con le truppe tedesche, concedendogli la stanza che necessitavano per le varie medicazioni dei soldati.

Una volta che la cittadina fu abbandonata dai tedeschi, in pochissimo tempo arrivarono gli alleati inglesi, i quali, allo stesso modo, volavano occupare la chiesa per farne anche loro luogo di medicazione, ma questa volta Don Ignazio si oppose con successo.

Quando però il 9 agosto arrivarono a Fleri i soldati scozzesi, la situazione fu ben diversa poiché, se in un primo momento Padre Messina si oppose a un’ulteriore occupazione della chiesa, successivamente egli capì che questi soldati erano ben diversi dai tedeschi e che non si trattava di una vera e propria occupazione, ma solo di un aiuto vicendevole, in quanto la chiesa non sarebbe stata danneggiata in alcun modo, ma sarebbe servita solo come ospedaletto per i soldati alleati.

Nelle settimane successive il paese piano piano cominciò a riprendere vita, le famiglie tornarono nelle proprie abitazioni. Il 15 settembre i soldati inglesi lasciarono Fleri e la chiesa, preparandosi a partire verso i soldati tedeschi, che nel frattempo sbarcavano in Calabria.

Il momento più critico era così passato e le Reliquie e tutti i preziosi beni conservati dietro l’altare erano finalmente fuori pericolo. Non restava a questo punto che riportare tutti i beni a Catania.

A partire da giorno 20 settembre il Vicario aveva portato via da Fleri il tesoro della Madonna delle Grazie e uno dei due calici d’oro. Nel frattempo, Mons. Carciotto aveva pensato a come far tornare il resto a Catania e pensò bene di farsi aiutare da Padre Nicola Holman, cappellano benedettino inglese, il quale era venuto a conoscenza dal Vicario generale del fatto che le Reliquie si trovavano ancora seppellite in una modesta cassa nella vecchia cisterna della chiesa, gli diede piena garanzia sui permessi del trasporto, che avvenne il 26 settembre.

Intanto a Fleri Don Ignazio era venuto a conoscenza dell’arrivo di una Jeep dell’esercito inglese e di un’autoambulanza militare sulle quali c’erano Padre Holman, insieme al Vicario e alcuni aiutanti inglesi cattolici, per prelevare la preziosa cassa.

Le Reliquie della Santa Patrona catanese erano rimaste custodite a Fleri per 134 giorni.

La figura di Don Ignazio Messina fu il punto centrale su cui si svolse tutta la vicenda. Non solo egli si incaricò di questo arduo compito, ma lo fece con cura e amore giorno dopo giorno, mettendo a rischio sé stesso pur di salvaguardare le Reliquie e parte del tesoro di S. Agata. La chiesa di Fleri fu perennemente occupata, prima dai tedeschi e poi dagli inglesi. Il rischio di saccheggio o di danneggiamento a seguito dei bombardamenti era continuo, ma, nonostante ciò, egli riuscì a tenere d’occhio tutto giorno e notte, con il rischio che potesse essere scoperto da un momento all’altro, dato che le casse si trovavano a due passi dai militari, essendo la chiesa stata perennemente occupata sia dai tedeschi che dalle truppe anglo-americane. Inoltre, fu sempre Padre Ignazio Messina ad annotare tutto quello che accadde in quei giorni sul diario di Cronaca parrocchiale, senza questi documenti per noi oggi sarebbe impossibile conoscere questa pagina di storia.