di Nadia Barrella
Carmelo Bajamonte, Collezionismo e identità nazionale – La collezione del duca della Verdura tra Risorgimento e Senato del Regno, Napoli, Luciano Editore, 2022
La storia della collezione Verdura rappresenta un tassello nella frammentaria e ancora poca nota storia del collezionismo privato a Palermo che, come quella di altre ‘province meridionali’, non gode di una solida e continuata tradizione di studi, a dispetto della intensa storia culturale che ne caratterizza l’orizzonte geografico dalla metà dell’Ottocento fino al nuovo secolo.
Iniziatore della collezione è il duca Francesco Benzo e Mortillaro (1794-1858) senatore della città di Palermo, poi pretore e intendente di provincia (a Potenza e a Palermo), gentiluomo di camera della corte borbonica sotto Ferdinando II di Borbone: una collezione in cui i due nuclei più significativi – l’antico, una straordinaria raccolta di ceramiche figurate, e l’arte moderna, dipinti dai primitivi ai contemporanei dell’800 –, rispecchiavano i comuni interessi della classe colta del Regno delle Due Sicilie. Una collezione finalizzata a rappresentare il prestigio della famiglia che un inedito inventario post mortem consente di radiografare molto puntualmente: dipinti, oggetti di archeologia, ceramica rinascimentale, manufatti Cina e Giappone, gioielli, ori e argenti, mobili artistici, naturalia, disegni e stampe, libri compongono una collezione ‘enciclopedica’ accumulata nelle varie sale del palazzo di famiglia. Documento prezioso che nel suo andamento stanza per stanza restituisce la collocazione di oggetti dettata dal gusto, i nomi di artisti cui i periti attribuiscono le opere esaminate, e descrizioni di luoghi come la galleria del palazzo vero e proprio ‘colpo di teatro’ del collezionista.
Il passaggio della collezione Giulio Benso e Sammartino duca della Verdura (1816-1904), il vero protagonista di questo libro, segna una seconda fase della sua storia, anche nel passaggio legale mirato a salvaguardare l’unità della collezione dopo la morte del duca Francesco. Personaggio di prima linea del Risorgimento italiano, animato da ideali di libertà e unità nazionale, senatore del Regno al parlamento nazionale dal 1862, Giulio Benso condivide con il padre la passione collezionistica con fermenti nuovi e diversi orientamenti (specializzazione della raccolta d’arte e separazione della collezione archeologica da lui venduta al museo, attenzione alle arti decorative e alla maiolica rinascimentale…). Cambia adesso il gesto collezionistico e non è secondario il fatto che il duca Giulio abbia la possibilità di frequentare, anche per ovvie ragioni di lavori si senatore del Regno d’Italia, diverse città, importanti piazze del mercato d’arte – Torino, Firenze e Roma, Napoli – mettendo a segno acquisti di straordinaria qualità e basterà citare la porta lignea di Benedetto da Maiano proveniente dalla Badia di Fiesole, gli oggetti islamici acquistati a Firenze, i libri di disegni di Giacomo Amato comprati a Roma. Acquisti volti a conferire alla collezione di famiglia una decisa impronta nazionale e identitaria in grado di documentare non più, o non solo, la storia delle arti della Sicilia o del Regno borbonico ma il quadro più ampio dell’arte della Nazione in cui l’esperienza meridionalistica era riposizionata in una cornice più ampia. La collezione così, secondo l’intendimento perseguito dal collezionista palermitano, conferisce corporeità fisica all’idea di arte ‘dell’Italia’, dato visivo della sua storia culturale.
Non casualmente, la collezione, guadagnerà presto una visibilità non solo nazionale (il principe Gaetano Filangieri riconosceva le maioliche ispano-moresche dell’amico Giulio fra le migliori d’Italia) ma europea, come testimonia il rapporto fra il duca palermitano e Jean-Charles Davillier, uno dei massimi studiosi in Europa di maioliche e porcellane con il quale Giulio Benso è in contatto. La quadreria Verdura sarà visitata da conoscitori e storici dell’arte in anni di definizione della connoisseurship e della fisionomia del patrimonio artistico d’Italia: Giovan Battista Cavalcaselle, che lasciò traccia nei suoi taccuini di disegni di dipinti osservati a palazzo Verdura, Gustavo Frizzoni in vista della formazione di un catalogo nazionale di beni artistici o Wilhelm von Bode negli anni dell’incremento maggiore del museo da lui diretto, tutti frequentarono la collezione con diverse finalità.
Il libro prova a raccogliere tracce sparse fra letteratura artistica (guidistica, cataloghi di asta, pagine di comnnoisseurship) e inedite fonti d’archivio di enorme utilità: la collezione del duca della Verdura si trova così inserita in un quadro più ampio documentato da inventari di beni, pratiche di acquisti e vendite, relazioni degli uffici di esportazione, denunce di furti, modelli e funzioni del mercato antiquariale (circolazione e consumo di beni fra sensali locali e agenti stranieri), episodi di donazioni e passaggi dal privato al pubblico (Giulio Benso decide di donare alcuni oggetti della sua raccolta perché divengano bene comune), allestimenti di musei ed esposizioni (l’Esposizione Nazionale di Palermo 1891-92 di cui Benso fu convinto promotore), fonti visive (albumine di interni di case coeve, villa Whitaker o villa Bordonaro, per configurare i luoghi e gli allestimenti della collezione Verdura). Le ricognizioni archivistiche hanno posto in luce alcuni specifici episodi relativi alla collezione Verdura in termini di acquisti, all’interno di un quadro più generale fatto di storie personali e collettive, conservazione e dispersione dell’immenso patrimonio culturale italiano fra i due secoli.
La vendita all’asta a Roma nel 1894, presso la casa d’aste di Domenico Corvisieri, rappresenta l’epilogo della storia della collezione: la vendita, corredata da catalogo dettagliatissimo e illustrato da fotografie, ne disperde l’immenso corpo fra collezionisti (fra questi i napoletani Carlo Giovene di Girasole e il conte Giovan Vincenzo Galanti che acquistarono porcellane e maioliche), antiquari e funzionari di museo (Hugo von Tschudi assicurò oggetti Verdura al Kaiser Friedrich Museum di Berlino). Dispersione continuata anche con gli eredi di Giulio Benso che via via venderanno allo Stato (il quattrocentesco Trittico della Verdura di Tommaso de Vigilia, comprato nel 1910 con l’avallo di Adolfo Venturi per il Museo Nazionale di Palermo) o a privati dileguando così del tutto il patrimonio familiare (è il caso della Madonna col Bambino copia antica da Jean Van Eyck totalmente dileguata). Destino comune a molte collezioni dell’Italia meridionale (penso alle collezioni Sambon, Tesorone, Giovene ecc.) travolte da una spaventosa onda d’urto, sullo scorcio del secolo e all’aprirsi di quello nuovo, cui non era estranea a diversi livelli la scarsa coscienza del patrimonio nazionale. Come osservava Pomian: «la storia delle collezioni è in realtà una storia dei rapporti con l’invisibile» e, come quella raccontata in questo libro, in un continuo di tempo fra il suo passato e il nostro futuro.