di Tommaso Casini
Henry Keazor, Raffaels Schule von Athen: Von der Philosphenakademie zur Hall of Fame, Berlin, Verlag Klaus Wagenbach, 2021
Nel proliferare di convegni e studi per celebrare i cinquecento anni dalla morte di Raffaello, senza l’intenzione di formulare classifiche o gerarchie d’importanza, appare di grande originalità l’idea di esplorare anche l’impatto che ha avuto l’opera e l’immagine critica del maestro d’Urbino nel lungo periodo e in particolare nel corso del ‘900, senza escludere l’attualità iconografica che ne restituisce la contemporaneità. Il soggetto iconico della Scuola di Atene nelle stanze vaticane, ad esempio, è stato adattato, imitato e reinterpretato centinaia di volte nel corso dei secoli. Mancava uno studio serio e articolato sulla migrazione inter- mediale dell’affresco: dall’affresco al dipinto; dalla stampa alla fotografia, da questa fino al videoclip. Henry Keazor descrive dettagliatamente questo fenomeno poliedrico, e per molti aspetti spiazzante, in un ponderoso studio, declinando le numerose peculiari ragioni che hanno fatto si che il grande affresco commissionato nel 1509 da papa Giulio II, al ventiseienne Raffaello, divenisse un soggetto popolare al pari dell’immagine replicata e risemantizzata della Creazione di Adamo di Michelangelo e l’Ultima cena di Leonardo. L’affresco di Raffaello, con le sue 58 figure variamente interpretate sia sul piano dell’aderenza alle fisionomie tramandate dei filosofi dell’antichità, sia riguardo alla somiglianza con pittori e personaggi dell’epoca di Raffaello ha una complessa storia di ricezione. Significativo è l’inizio di questo processo quando Giorgio Ghisi che cristianizzò l’idea pittorica di Raffaello nella sua incisione su rame del 1550 sostituendo il filosofo Platone con l’evangelista Paolo. Il processo di trasformazione e appropriazione non si concentra – osserva Keazor – solo sulla folla dei protagonisti ma anche sull’idea classica dell’architettura dipinta come accade alcuni secoli dopo dipinto di Jean-Auguste-Dominique Ingres L’Apoteosi di Omero (1827).
C’è però un punto decisivo nel ‘900 che determina l’elaborazione espansa di alcuni dei capolavori dell’antichità o del Rinascimento nelle forme della rimediazione, oltre i confini dei significati degli originali. Dai videoclip che citano la Scuola d’Atene ai film di Hollywood, dalle fotografie delle star del calcio a quelle della musica fino all’inserimento dei personaggi di lego, Keazor per definire questa specifica forma di riuso si serve del termine «Hall of Fame». A dimostrazione dell’impatto manifesto che l’idea raffaellesca – originale tanto da non avere precedenti – ha prodotto un archetipo nelle sue variegate forme di ricezione successive. «Un intero libro su un solo affresco? si chiede Keazor all’inizio del suo lavoro – cosa ha di speciale l’affresco della Scuola di Atene? » L’autore del volume enuclea cinque principali ragioni: la forza innovativa dell’anacronismo della scena, ovvero la rap- presentazione insolita di vedere raggruppati in un unico momento i più importanti filoso- fi dell’antichità, provenienti da diverse epoche e contesti geografici. Essi rappresentando diversi ambiti filosofici come mezzo di acquisizione di conoscenze nel campo delle varie arti e scienze, ma l’artista ne ha creato allo stesso tempo un’immagine ideale di ‘status’ e ‘corporazione’ della filosofia replicabile in altri ambiti. L’immagine del resto è stata spesso usata sulle copertine dei testi di storia della filosofia.
In secondo luogo: poiché non ci sono ritratti autentici documentati della maggior parte dei filosofi raffigurati, Raffaello decise di dare loro caratteristiche liberamente inventate o ispirate ai volti di famosi artisti del Rinascimento. La leggenda dei più eminenti filosofi dell’antichità fu così letteralmente incarnata da alcuni dei più importanti contemporanei di Raffaello, come Michelangelo, Leonardo da Vinci, Bramante o Sodoma, nobilitando nello scambio il ruolo sociale dell’artista come sottolineò tra i primi Vasari. Hall of fame in di- sguise quindi. In terzo luogo – continua Keazor – invece della confusione che ci si potrebbe aspettare dall’effetto anacronistico dei personaggi che si ritrovano da tempi e contesti di- versi, Raffaello trovò un principio scenografico e drammaturgico molto efficace costruendo stringenti relazioni, raggruppando le varie personalità raffigurate. L’effetto sorprendente – che si riverbera quindi nelle innumerevoli forme di citazione – risiede cioè nell’impatto della disposizione delle figure nell’affresco di per sé slegate e, per di più, in parte distanti tra loro, le une dalle altre per mezzo di una sapiente distribuzione scenografica nello spazio. I gruppi di figure ottenute in questo modo sembrano essere armoniosamente integrate in un tutto dalla cornice architettonica circostante.
Ma vi è di più: l’unità coerente non è dovuta di per sé alla drammaturgia e ai principi di ordine compositivo sviluppati da Raffaello. Le innumerevoli modalità di ricezione e adattamento dell’insieme, come aveva sostenuto Leo Steinberg riferendosi all’interpretazione incessante dell’Ultima cena leonardesca, hanno colto tutto questo e fanno risaltare nel corso del tempo il valore della composizione della Scuola di Atene, attraverso la capacità di rilettura, ponendoci davanti al potere della forma sintattica visiva adattabile del grande affresco vaticano. Se ne desume che pur allontanandosi cronologicamente e visivamente dal soggetto originale della Scuola d’ Atene, o addirittura in casi completamente indipendenti da esso, si possono comprendere le peculiari convinzioni politiche di ogni epoca in cui è stato riutilizzato anche negli declinazioni parodistiche, nelle rievocazioni che troviamo nei tableaux vivant della Scuola d’Atene, la messa in scena in film, la citazione nei fumetti, nella pubblicità, nei video musicali, testimonianza della stretta combinazione di principi di ordine drammaturgico, compositivo e architettonico. Il questo importante lavoro di Keazor aleggia anche lo spirito di Warburg, che avrebbe trovato straordinariamente calzante il fenomeno di traduzione della Scuola d’Atene come era avvenuto con il Dejeuner sur l’Herbe di Manet che aveva guardato alla composizione campestre di Marcantonio Raimondi e quindi a Raffaello. Questo libro con abilità interroga la ricezione e le interpretazioni, gli adattamenti e le adozioni ricontestualizzate nell’era mediale che sono e saranno sempre più presenti sotto i nostri occhi.